Saluti per la festa di Sant’Antonio Maria Claret

Ott 23, 2020 | Bacheca, Mathew Vattamattam, Sant'Antonio Maria Claret

Fratelli carissimi,

Passano 150 da che il nostro amato Padre e Fondatore della nostra famiglia carismatica, Sant’Antoni Maria Claret, fu chiamato nel seno del Padre dopo aver concluso la sua missione sulla terra. Credo che il Claret si rallegrerebbe del fatto che celebriamo con austerità questo momento, tenuto conto della pandemia e di certo vorrebbe che fossimo presenti, accompagnando il popolo nella sua sofferenza, così come fece egli stesso da vescovo missionario in Cuba. Dobbiamo approfittare di questa occasione per approfondire il nostro spirito carismatico, perché ci permetta di essere pienamente presenti nella vita dei nostri simili in questo difficile momento così difficile. Sappiamo che la pandemia passerà, come ogni notte dà strada al giorno.

Dall’aprile del 2020, il dramma della pandemia, avvicinò tutti al mistero della morte, provocando panico ed incertezza a livello mondiale, anche se la sofferenza e l’angoscia non sono cosa nuova per la maggioranza di noi. Di fatto, molti di ni abbiamo vissuto momenti devastanti a livello personale e familiare quando persone amate soffrirono malattie terminali, abuso di droga, crisi economiche… Alcuni hanno vissuto tempi difficili a causa anche di conflitti politici e di tensioni etniche nelle loro regioni o nei loro Paesi.

Vale la pena ritornare al nostro Fondatore per imparare da lui come visse il mistero della sofferenza. Sull’esempio di Gesù, il Claret fece tutto il possibile per alleviare la sofferenza altrui dove egli visse il suo servizio. Il Claret e i suoi sacerdoti rischiarono la loro vita per servire il popolo durante il terremoto e poi l’epidemia di colera del 1852 a Santiago di Cuba (Aut 529-537).

Quando il Claret sperimentò la sofferenza, la abbracciò al modo di Cristo. Così nell’attentato di Holguin, Cuba (1° febbraio 1856), il rasoio del mancato assassino giunse fino alla mandibola superiore ed inferiore causandogli un difetto facciale e una qualche difficoltà nell’articolazione per il restante della sua vita. La risposta del Claret all’attentato contro la sua vita fu di gioia e di ringraziamento per aver raggiunto, come egli stesso scisse “ciò che tanto desiderava, versare il sangue per amore di Gesù e di Maria e per poter suggellare con lo stesso sangue le verità del Vangelo” (Aut. 577). La sua permanenza a Madrid come confessore della regina Isabella II significò per lui un altro tipo di martirio.

Due anni prima di morire, soffriva di un’ulcera in bocca che, date le circostanze di allora, avrebbe potuto facilmente portarlo alla morte. In un a lettera al P. Xifré scrive:

“Che piacere sarebbe se il Signore me lo consentisse. La settimana passata pensavo che fosse già arrivato il divino permesso, ed ero molto contento… Avevo un’ulcera nella bocca, mi si vedeva l’osso della mandibola inferiore e la ferita si ingrandiva ogni giorno di più… Di questo, ho visto morire più di una persona… Guardando la mia ulcera e il suo espandersi, immaginavo che sarebbe stata la fine per me, né volevo dirlo ad alcuno per poter morire, così grande il mio desiderio di andarmene dal Signore; pensai, tuttavia, che meglio sarebbe stato e più gradito a Dio che io ne parlassi e che mi assoggettassi alla molestia e ai tormenti delle operazioni e dei rimedi, cosa che feci”.

Il Claret fece vedere l’ulcera ad un medico che il giorno seguente arrivò con tutti gli strumenti e gli estrasse due molari applicando sull’ulcera un unguento per cui finalmente questa guarì. Conclude dicendo: “…Frustrate le mie speranze, di morte vicina… Dio sia lodato” (EC II, p. 1249).

Nella sofferenza, un missionario si identifica con San Paolo, che scrisse: “se noi viviamo, viviamo per il Signore, se noi moriamo, moriamo per il Signore. Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo dunque del Signore… (Rom 14, 28).

Quando la notizia della morte del Claret arrivò a Madre Paris (Fondatrice delle Missionarie di Maria Immacolata – RMI), la quale credeva che Dio aveva scelto il Claret per essere strumento di rinnovamento della Chiesa, ella si domandò come avrebbe potuto compiersi questa sua missione. Scrisse poi nel suo diario ciò che il Signore le suggerì: “Forse la mia parola non si compie? Confida, figlia; aspetta un poco e vedrai quello che faccio…” (Diario, n. 109). Chissà che il Signore non è andato rispondendo attraverso la vita e la missione di tutti coloro che avrebbero condiviso il carisma di Sant’Antonio Maria Claret. Non v’è dubbio che la nostra collaborazione è necessaria per rendere la cosa possibile.

Cari Clarettiani, l’opportuno omaggio al nostro Fondatore nel 150 anniversario della sua morte è la nostra promessa di amare Dio e la Chiesa in modo disinteressato, di impegnarci ad essere testimoni e messaggeri della gioia del Vangelo come ai suoi giorni fece il Claret.

Quando il Claret fece nella sua vita la scoperta di Gesù, gli fu anche concesso che la Madre di Gesù lo formasse e lo accompagnasse per la vita e nella missione. È questa la nostra stessa fortuna. IN realtà, una vita donata come quella del Claret al servizio del Vangelo merita di essere vissuta in tutte le sue conseguenze.

Auguro a tutti una celebrazione significativa della festa del nostro Fondatore, Sant’Antonio Maria Claret.

Mathew Vattamattam, CMF

Superiore Generale

24 ottobre 2020

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