IN QUESTE CONDIZIONI IL VENERABILE P. MARIANO AVELLANAPROSEGUÌ LA SUA OPERA MISSIONARIA

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L’anno avanza fino all’ottobre di questo emblematico 2024, in cui stiamo commemorando il 120° anniversario della Pasqua del Venerabile P. Mariano Avellana e il 175° anniversario della Congregazione Clarettiana. E in questo mese così chiaramente clarettiano non possiamo non valorizzare il carisma che il santo Fondatore impresse con fuoco nell’anima di Mariano e lo portò alla sua dedizione missionaria fino a dare la vita in essa. Senza questo impulso vitale sarebbe stato impossibile per il suo illuminato figlio evangelizzare senza riposo nella frontiera americana che aveva appena conosciuto; e lo fece in mezzo a enormi sofferenze fisiche e fino a cadere morto nell’ultima delle sue centinaia di missioni.

 Un Paese di contrasti

Uno dei grandi scrittori ha definito il Cile una “geografia pazzesca”, notando che, oltre a essere il secondo Paese più lungo e più stretto del mondo, presenta quasi tutti i climi possibili, dalla “porta settentrionale” desertica ai ghiacciai dell’Antartide, dalla Cordigliera delle Ande all’Oceano Pacifico.

Tuttavia, i suoi enormi contrasti sociali – che, con livelli e sfumature diverse, si sono protratti per quasi 500 anni di storia – costituiscono un elemento di tensione quasi permanente che, nei 31 anni dell’instancabile apostolato di Mariano, era particolarmente intenso.

Paese minerario e agricolo per eccellenza, questa seconda caratteristica è stata la più estesa fino a tutto il XX secolo. Sebbene le miniere estrattive abbiano contribuito in modo essenziale alle casse dello Stato fin dai tempi di Mariano, l’agricoltura di sussistenza e lo scarso sfruttamento della terra in enormi latifondi che concentravano una grande povertà e un sistema feudale di proprietari terrieri, durarono a lungo. Nel frattempo, l’industrializzazione guidata dallo Stato guadagnava terreno e si consolidava in modo esemplare in America Latina.

Un punto di svolta trascendentale si aprì proprio quando Mariano mise piede in terra cilena nel 1873: nell’enorme area del deserto di Atacama boliviano-cileno-peruviano era stata scoperta la più grande concentrazione al mondo di un prodotto allora preziosissimo sia per la fertilizzazione agricola sia per la fabbricazione di materiali esplosivi nell’industria militare: il salnitro, una miscela di nitrato di sodio e nitrato di potassio che, insieme ad altri minerali, veniva estratto dalle miniere in un concentrato chiamato “caliche”.

Il controllo e i benefici dell’intero sistema produttivo – così come la gestione politica – da parte delle élite nazionali si concentrarono quindi a Santiago e in poche altre città importanti. Di conseguenza, i contadini poveri e affamati convergevano sempre più verso di esse, fino a formare enormi zone di miseria, malattia, desolazione e morte intorno ai centri relativamente sviluppati e ricchi.

Il campo di missione di Mariano

È questa la realtà che Mariano Avellana si trovò ad affrontare non appena messo piede a Santiago, dove i missionari clarettiani erano arrivati solo tre anni prima per fare del Cile il primo Paese in cui sarebbero riusciti a consolidarsi al di fuori della loro patria, la Spagna, e iniziare a diffondersi in tutta l’America.

Animati dal carisma del Fondatore, i suoi figli avevano accettato di stabilirsi proprio in uno dei settori più miseri e abbandonati della nascente capitale del Paese. Impegnati a fondo in questa realtà, i missionari non solo evangelizzarono una popolazione molto povera, per lo più analfabeta, con uomini schiavizzati dall’alcolismo e con la conseguente violenza familiare. Hanno anche distribuito cibo, insegnato a produrre alimenti e medicine naturali in assenza di servizi medici, hanno istituito una scuola e presto hanno iniziato la costruzione di una chiesa dedicata al Cuore della Madre, che sarebbe poi diventata la prima Basilica del Cuore di Maria al mondo.

Da questa sede principale, Padre Mariano andò in missione nelle parrocchie, nelle cappelle agricole e nei campi della zona circostante. A poco a poco estese il suo raggio d’azione, viaggiando a cavallo, su carri, a piedi, sui primi treni che percorrevano il paese o nelle stive di vecchie navi da carico.

Introducendosi nelle slums, dove regnavano sovraffollamento, squallore, pestilenza e sofferenze di ogni genere, “percorse più di 1.500 chilometri attraverso il Paese, svolgendo la missione senza sosta”. Anche se un dolorosissimo herpes gli erose il ventre per 20 anni fino alla morte, nel mezzo del quale gli scoppiò una ferita alla gamba che, lungi dal guarire, crebbe fino alle dimensioni di una mano aperta e lo accompagnò fino alla morte. Tuttavia, non menzionò mai questi problemi, non rallentò il suo ritmo di lavoro a causa di essi, e continuò persino a cavalcare attraverso i campi e le montagne della folle geografia cilena.

Il sanguinoso caliche

L’ambizione per il salnitro scatenò l’avidità internazionale e il conflitto tra i tre Paesi produttori. Sei anni dopo l’arrivo di Mariano, nel 1879 il Cile intraprese un conflitto armato contro il Perù e la Bolivia, paradossalmente noto come “Guerra del Pacifico”, ma più precisamente come “Guerra del salnitro”. Il Cile vinse e si annetté le regioni desertiche che prima erano peruviane e boliviane. Oggi sono le più grandi del Paese e le più ricche di risorse minerarie.

Di conseguenza, una “corsa all’oro bianco” ha seminato il deserto di miniere di salnitro, migliaia di chilometri di ferrovie e una concentrazione senza precedenti di lavoratori, che gradualmente vi si sono affollati con le loro famiglie.

Il capitale di sfruttamento avrebbe dovuto essere cileno, ma lo Stato privatizzò le operazioni per ottenere alte tasse per le casse fiscali, e così le cosiddette “Oficinas Salitreras” finirono nelle mani di capitali prevalentemente inglesi e di altri Paesi.

Gli enormi contrasti sociali, le ingiustizie e gli abusi sul lavoro che si erano verificati nelle fattorie tradizionali si ripeterono e aumentarono. Tanto che i salari non venivano pagati in denaro, ma in gettoni scambiabili con cibo e prodotti di prima necessità solo nei negozi chiamati “pulperías” di proprietà degli stessi datori di lavoro, che, con onorevoli eccezioni, commettevano così abominevoli usure.

Ma l’enorme sviluppo dell’industria mineraria divenne anche un nuovo campo di evangelizzazione per i figli di Claret, e soprattutto per padre Mariano. Risiedendo per molti anni nelle comunità aperte a La Serena e Coquimbo, a circa 480 km a nord della capitale, si recò nelle miniere situate nella zona di Copiapó – l’attuale regione di Atacama – e più a nord, nella regione di Antofagasta. Nonostante in quelle zone regnassero l’irreligiosità, l’ubriachezza, la dissolutezza, la prostituzione e l’abuso delle donne, l’uomo conosciuto come “Apostolo del Nord” levò ovunque la sua voce potente per scuotere le coscienze, correggere i corsi, ricomporre le famiglie e cristianizzare gli ambienti.

Tuttavia, l’ingiustizia sociale portò a grandi tragedie. Padre Mariano era già morto quando, nel 1907, gli operai di vari stabilimenti di salnitro entrarono in sciopero e, con le loro mogli e i loro figli, scesero in massa dalle miniere della Cordigliera delle Ande alla direzione del porto di Iquique, a circa 1.800 km a nord di Santiago, per chiedere salari e lavoro migliori. Si sono riuniti presso la Scuola di Santa Maria e sono stati presto raggiunti da altri sindacati, fino a quando il porto è stato praticamente paralizzato.

Di fronte agli ordini del governo di Santiago, le forze militari ordinarono agli scioperanti di lasciare la scuola e la città. Al loro rifiuto, uomini, donne e bambini sono stati uccisi senza pietà. Secondo il governo, sono state uccise 126 persone. Ma diverse fonti hanno stimato il bilancio delle vittime tra le 2.200 e le 3.600 unità. La cifra esatta non è mai stata chiarita.

Alfredo Barahona ZuletVicepostulatore, Causa di V. P. Mariano Avellana, cmf     

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Se il Venerabile Mariano Avellana tornasse oggi in missione

Mariano Avellana, considerato il più grande evangelizzatore in oltre 150 anni di storia dei Missionari Clarettiani nei confini dell’America, è un’occasione particolarmente propizia per proiettare la sua figura al presente. In questo modo possiamo immaginare con quali messaggi e azioni percorrerebbe oggi migliaia di chilometri, rispetto a quelli che un tempo portava in terra cilena, nelle oltre 700 missioni, esercizi spirituali e riflessioni profonde che, con abnegazione e sofferenze “eroiche”, ha predicato per più di 30 anni; soprattutto ai malati, ai carcerati e ai più trascurati dalla società.

Mariano, instancabile nel suo desiderio di cristianizzare il Paese sconosciuto dove si sentiva inviato a diventare “o santo o morto”, alzò la voce e cercò di trasformare, secondo il Vangelo e la realtà del suo tempo, l’empietà religiosa, le situazioni di peccato, l’ingiustizia e gli enormi abusi contro i più deboli che incontrava in quel luogo. E non smise di farlo fino a quando non cadde morto nell’ultima delle sue missioni.

La missione nel mondo di oggi

Le realtà di oggi sono certamente molto diverse da quelle del passato. Un mondo globalizzato ha scelto in larga misura un modello di sviluppo distruttivo per l’ambiente, a un livello che sta portando la specie umana sull’orlo dell’estinzione. In mezzo a ciò, situazioni di miseria, abuso o persecuzione hanno scatenato migrazioni massicce di esseri disperati che, inseguendo il miraggio dell’abbondanza, muoiono a migliaia nell’oceano o sono impediti ad entrare nella moderna Jaujas, nella sofferenza, nell’abuso e nella morte. Possiamo supporre che Mariano Avellana avrebbe taciuto tutto questo nei suoi estenuanti viaggi missionari?

Le decine di guerre endemiche che non interessano a nessuno, e quelle nuove che fanno notizia per l’ampiezza dei loro orrori e per la possibile escalation che potrebbe portare a un conflitto globale dalle conseguenze inimmaginabili per l’intera umanità, non rientrerebbero forse nelle esigenze di consapevolezza e di azione coerente che Mariano rivendicherebbe come obblighi primari dei cristiani di oggi?

Gli innumerevoli abusi, le ingiustizie e le umiliazioni dei più deboli che oggi prevalgono nell’economia, nel lavoro e in altri ambiti delle relazioni personali e sociali, così come le violazioni dei diritti essenziali, siano essi alla vita, all’integrità, alla salute, al cibo, a un salario equo, alla casa, all’istruzione, alla protezione dei bambini, delle donne maltrattate e uccise, degli anziani abbandonati e di tante altre realtà, non sarebbero forse temi urgenti per la parola e l’azione di quell’illustre discepolo di Claret che era Mariano Avellana?

Non possiamo pensare che sarebbe rimasto impassibile e non avrebbe chiesto ai cristiani di “darsi da fare”, come lo esorta a fare Papa Francesco. Ancor meno resterebbe in silenzio di fronte a più di 36.000 morti, per lo più donne, bambini e anziani innocenti, a più di 78.000 feriti, a 1.500.000 sfollati sotto la minaccia delle armi e alla distruzione di oltre il 70% dell’intera infrastruttura della Striscia di Gaza, una parte consistente della terra in cui il Figlio di Dio piantò la sua tenda e augurò innumerevoli volte la pace.

E non farebbe lo stesso di fronte alla guerra tra Russia e Ucraina, che risale ad almeno 10 anni fa e che negli ultimi due anni ha provocato più di 80.000 morti.

Un esempio che interroga e chiede

Come guiderebbe i suoi missionari di fronte a questi e ad altri flagelli del nostro mondo odierno, possiamo solo immaginarlo. Ma conoscendo il modo in cui si è avvicinato al suo mondo con le parole e le azioni, è possibile dedurre che tipo di missionario sarebbe oggi Mariano Avellana.

A 120 anni dalla sua morte, vale la pena non solo riflettere, ma soprattutto estrarre l’esempio che la sua figura offre a tutta la famiglia clarettiana, religiosi e laici, uomini e donne, per i quali il suo passaggio sulla terra non è un semplice modello da contemplare, ma un esigente paradigma di vita e azione missionaria secondo il pieno carisma di Antonio Maria Claret. Questa è stata la fonte che ha ispirato Mariano a essere l’illustre missionario che desideriamo vedere sugli altari; una testimonianza di ciò che significa essere un missionario “che arde nella carità, arde ovunque vada e cerca con ogni mezzo la gloria di Dio e la salvezza degli esseri umani”.

Alfredo Barahona Zuleta

Vicepostulatore, Causa del Ven. P. Mariano Avellana, cmf

LA SANTITÀ E IL MISTERO DELLA RISURREZIONE

LA SANTITÀ E IL MISTERO DELLA RISURREZIONE

Nella teologia cristiana, la santità rappresenta un concetto centrale che si intreccia profondamente con il mistero della Risurrezione di Gesù Cristo. Questo legame fondamentale tra santità e Risurrezione si estende oltre il contesto religioso, toccando le corde più profonde dell’esperienza umana e della ricerca di significato.

La santità, nella sua essenza, denota uno stato di purezza, completezza e vicinanza a Dio. È un ideale che attraversa molte tradizioni spirituali, spingendo gli individui a perseguire la virtù, la compassione e la devozione. Tuttavia, è nella cristianità che la santità assume un significato particolarmente intenso, essendo spesso associata alla figura di Gesù Cristo, considerato il modello supremo di santità.

Il mistero della Risurrezione, d’altra parte, rappresenta il fulcro della fede cristiana. La credenza nella Risurrezione di Gesù Cristo dalla morte è fondamentale per la comprensione della redenzione e della vita eterna. Questo evento straordinario non solo conferisce senso e speranza alla vita cristiana, ma solleva anche interrogativi profondi sulla natura stessa dell’esistenza umana e sulla possibilità di trascendenza.

Nel contesto della santità, la Risurrezione assume un significato ancora più profondo. Essa rivela la vittoria definitiva di Dio sulla morte e sul male, offrendo un paradigma di trasformazione radicale e di rinascita spirituale. La santità diventa così un invito a partecipare a questa stessa vita nuova, a abbracciare la potenza trasformatrice dell’amore divino e a vivere in comunione con Dio e con gli altri.

Tuttavia, la ricerca della santità non è un percorso facile o lineare. Richiede impegno, sacrificio e una costante conversione interiore. È un viaggio fatto di alti e bassi, di lotta e di grazia, in cui ogni individuo è chiamato a confrontarsi con le proprie debolezze e a crescere nella virtù e nella fede.

In questo contesto, la Risurrezione di Cristo diventa una fonte di speranza e di forza. Essa ci ricorda che anche nelle prove più oscure e nelle situazioni apparentemente senza via d’uscita, c’è sempre la possibilità di una nuova vita, di una rinascita inaspettata. La santità diventa così una testimonianza viva di questa realtà, una testimonianza di vita che sfida le limitazioni umane e apre le porte alla grazia divina.

In definitiva, il legame tra santità e Risurrezione ci invita a riflettere sul significato più profondo della nostra esistenza e sulla possibilità di una trasformazione radicale attraverso l’amore e la grazia di Dio. È un richiamo a vivere con speranza e fiducia, consapevoli che anche nelle tenebre più fitte, la luce della Risurrezione continua a brillare, offrendo un cammino di santità e di vita eterna.

Lasciamo che la nostra esistenza sia conquistata e trasformata dalla Risurrezione! Buona Pasqua a tutti!

                                                                                                          P. Krzysztof Gierat, CMF

   Postulatore Generale

Antonio Maria Dalmau Rosich

Antonio Maria Dalmau Rosich

Studente teologo

Anni 23

Nato in Miralcamp (Lérida) il 4 ottobre 1912, fin da piccolo lasciava intravvedere una spiccata attrazione alla preghiera e al raccoglimento.

Entrò dapprima nel Seminario diocesano di Solsona e poi in quello Clarettiano di Vic.

Pronunciò i voti religiosi il 15 agosto del 1929. II seguito della carriera fu reso difficile dalla legge sul servizio militare e dalla particolare congiuntura.

Già dal 1931 intuisce il pericolo e scrive a casa: «Per quanto concerne la situazione attuale, viviamo alla giornata. Ci mettiamo nelle mani di Dio perché può accadere di tutto».

«Siamo sereni – scriveva nel dicembre del 1934 – in mezzo all’incertezza che regna dappertutto e può capovolgere le cose da un giorno all’altro».

Risiedeva a Barbastro dall’agosto del 1935; al momento della prigionia aveva appena terminato gli studi teologici.

Si rendeva conto che gli eventi politici stavano precipitando e, rivolgendosi ai suoi nel dicembre dello stesso anno, diceva: «Da queste elezioni dipende la vita o la morte della Spagna e forse anche della Religione».

Due mesi più tardi parla dei brogli elettorali operati dalle sinistre che però, a Barbastro, non impedirono la stentata vittoria delle destre.

Nel giugno del ’36 sente la rivoluzione battere alle porte e partecipa ai parenti: «Qui c’è pace, per ora, grazie a Dio. Personalmente, non abbiamo subito sgarbi o fastidi, sebbene abbiano proibito di suonare le campane e si siano impadroniti del Seminario vescovile per rovinarlo. Purtroppo, così vanno le rivoluzioni…>>.

Piccolo di statura, vivace, suscettibile; gli costò non poca fatica arrivare al dominio di se stesso.

Chiuse l’avventura terrena, dando la vita per Cristo, il 13 agosto del 1936.

Le parole estreme sono di abbandono in Dio: «Si faccia sempre, o Signore, la tua divina volontà!».

PADRE CLARET E LA STAMPA

Nessuno ignora che quasi tutti i mali insanabili che la società moderna deplora hanno origine in questa stampa libertina che, sotto il titolo di libertà e progresso, inocula veleno nelle anime e sgretola l’edificio della società.

E poiché è anche vero che per impedire l’efficacia di un veleno è necessario contrastarlo con un controveleno, vorremmo ricordare, esaltandone la memoria, quell’uomo apostolico che tanto ha fatto per infliggerlo alla società in cui gli toccava vivere. Parliamo di V.P. Anthony Ma Claret, per il quale la Chiesa sta preparando in questi giorni il supremo onore degli altari. Chi dubita di questa affermazione deve solo dare una rapida occhiata alla sua opera, che nessun altro ha eguagliato, come scrittore popolare, e si convincerà a sufficienza che è difficile trovare qualcuno nel XIX secolo che abbia fatto tanta propaganda cattolica, attraverso la stampa, quanto Claret, e che difficilmente si troverà un rivale in questo senso nei secoli precedenti.

Se volessimo dare in poche parole un’idea generale di ciò che scrisse, diremmo che scrisse di apologetica, di morale, di ascetica e mistica, di arti e scienze, di oratoria e agricoltura. In particolare, non c’era ramo delle materie ecclesiastiche su cui non scrivesse qualcosa. Si noti però che si considerano opuscoli quegli scritti che non superano le 60 pagine. È vero che non è l’autore originale di alcuni di essi, ma li ha tradotti o migliorati in modo tale da renderli quasi suoi. Ma è difficile apprezzare il merito e il lavoro che tanta scrittura comporta se non si tiene conto della continua e gravosissima occupazione che lo ha travolto e che, se non fosse stato per don Claret, gli avrebbe reso materialmente impossibile scrivere qualcosa. Non aveva altra scelta che rubare tempo al sonno.
Molte persone sagge e virtuose, tra cui il Rmo. Orge, l’ex generale dei domenicani, non riuscivano a spiegarsi tanta attività se non con un intervento divino.

Non contento di aver scritto tanto e su tanti argomenti diversi, incoraggiava altri a fare lo stesso e non di rado ne pagava lui stesso la stampa. Ma la sua opera più grande, in questo campo della propaganda cattolica, è la fondazione della Libreria religiosa e dell’Accademia di San Michele; opere, secondo la mente del fondatore, destinate esclusivamente a inondare la società, che geme sotto il peso di tanti cattivi libri e opuscoli, con un diluvio di buoni libri.

Se le cifre sono il miglior panegirico, dobbiamo dire che la sola Libreria religiosa dal 1848, data della sua fondazione, al 1866 ha stampato 2.811.100 volumi di vario formato; 2.509.800 opuscoli e 4.249.200 manifesti e foglietti di catechismo. Totale: 8.569.800 copie. Più di mezzo milione all’anno. Dal 1879 al 1902 ne ha stampati un milione e seicentosettantamila.

In meno di nove anni di esistenza dell’Accademia di San Michele, distribuì gratuitamente 1.734.000 libri, corrispondenti in media a 120.000 all’anno; 1.734.004 stampe, 25.311 medaglie, 2.112 crocifissi e 10.201 rosari. Inoltre, sono stati prestati 20.396 libri e distribuiti un numero infinito di fogli sciolti e opuscoli. Se P. Claret, in tutta la sua vita, non avesse fatto altro che fondare la Libreria religiosa e l’Accademia di San Michele, meriterebbe seriamente che gli venisse eretto un monumento come apostolo della stampa cattolica. E che dire se consideriamo che la maggior parte di questi scritti sono opera sua? Si sa che il numero di volumi dei suoi libri e opuscoli supera le 6.000.000 di anime su 150 edizioni conosciute e di cui non conosciamo il numero di copie. E che dire dei fogli volanti, le cui edizioni erano molto più numerose? La sola tipografia di Aguado, a Madrid, ne pubblicò in breve tempo 280, che sommati a quelli della Librería Religiosa danno la cifra di 4.723.280 copie. Ed è da notare che quasi tutti questi fogli recano stampe allegoriche, disegnate dallo stesso Servo di Dio. Altre librerie pubblicarono opere di padre Claret che andarono ad aggiungersi alle cifre già indicate. Quale scrittore in così poco tempo ha mai potuto vedere un numero così prodigioso di copie delle sue opere?

E non si pensi che tutto questo sia stato dettato da un desiderio di profitto o di fama, no, ma piuttosto che sia stato il primo a pagare i costi di stampa e a distribuire tutto gratuitamente. Lui stesso afferma che nel 1863 lasciò alla Librería Religiosa 4.000 duri. A Cuba distribuì più di 200.000 libri. Nei viaggi che fece con i re in Spagna, aveva fatto in modo che in ogni città in cui si fermassero trovasse una scatola di libri da distribuire. Solo nel viaggio che fece nel sud della Spagna nel 1862, distribuì più di 85 arrobas (“arroba” = 12,4 kg) di libri, opuscoli e volantini.

Per concludere: se il grande poeta catalano Verdaguer poteva veramente dire che “L’instancabile Apostolo della Catalogna era stato il primo, il più attivo e il più popolare propagandista che la stampa catalana avesse avuto nel suo secolo”, dobbiamo dire altrettanto dell’Apostolo delle Isole Canarie, di Cuba, di tutta la Spagna; perché con uguale zelo esercitò il suo apostolato in esse, quell’anima gigante, per le cui imprese il mondo era piccolo.

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La Pasqua di Mariano Avellana in un anno importante

Il ricordo della Pasqua del nostro Venerabile P. Mariano Avellana, il prossimo 14 maggio, acquista una rilevanza speciale quando nel 2023 ricorre il 150° anniversario del suo arrivo in Cile.

Mentre commemoriamo il 119° anniversario della morte di colui che è stato considerato il più grande missionario che il Paese abbia conosciuto nel suo tempo, questa ricorrenza pasquale assume un significato inseparabile dal Sesquicentenario del suo arrivo, al di là della sua abituale memoria il 14 di ogni mese.

Quasi 31 anni separano le due date nella vita del Venerabile, da quando mise piede in terra cilena fino a quando morì come gli eroi: nell’ultima delle sue oltre 700 missioni e predicazioni in tutto il Paese; nella sua offerta di evangelizzazione instancabile e di servizio preferenziale ai malati, ai carcerati e ai più abbandonati.

Celebrare e interrogarsi come una famiglia

Mentre la comunità clarettiana di San José del Sur prepara diversi atti commemorativi per il Sesquicentenario dell’arrivo del Venerabile in terra americana, questo nuovo anniversario della sua Pasqua ci permette di valorizzare in tutta la sua dimensione la testimonianza di vita che Mariano Avellana pone per tutta la famiglia clarettiana. Anche lontano dai confini dell’America, dove l’ha vissuta senza misura, il suo esempio di “missionario fino in fondo” convalida in pienezza davanti alla Chiesa il carisma del suo fondatore e padre congregazionale, Antonio María Claret, interpella soprattutto i suoi missionari in tutto il mondo e illumina per loro un cammino che Mariano ha aperto 150 anni fa e che non ha perso la sua validità per l’evangelizzazione del XXI secolo.

Perché superare la naturale tendenza all’agio e alla disinvoltura per andare in fretta alla ricerca dei malati, degli sconfitti dal vizio e dei maltrattati sotto il peso dell’egoismo, dell’ingiustizia e dell’abbandono, è impegnativo oggi come quando i primi clarettiani misero piede sul suolo americano, e tra loro Mariano sentì che non poteva riposare davanti alle piaghe della povertà alle porte stesse della comunità primitiva. In tal modo comprese la necessità di santificarsi come missionario superando anche l’esaurimento delle forze e i dolori che lo martirizzavano in vita.

Le sfide di oggi hanno certamente cambiato i volti e le fatiche, e nel mondo globalizzato i drammi che spingevano Mariano a correre instancabilmente verso le “frontiere”, come oggi Papa Francesco chiede a religiosi e laici come un’esigenza urgente e primordiale, sono ancora presenti in forme diverse.
Celebrando la sua memoria in questo 14 maggio e proiettandola sui 150 anni da quando Dio stesso è venuto con lui a benedire questa terra, è giusto e necessario gioire nel Signore e ringraziarlo per aver suscitato in essa un tale apostolo. Ma è soprattutto assumere nel proprio stile di vita la testimonianza missionaria che il venerabile Mariano ha lasciato in eredità alla famiglia clarettiana.

Nelle comunità, così come nelle scuole, nei santuari e nelle opere pastorali di San José del Sur, si terranno commemorazioni del Venerabile, oggi, in date vicine o nel corso dell’anno. Tra quelle già in corso, vale la pena di menzionare un programma di sei brevi capitoli su Youtube che, a partire da oggi, saranno proposti il 14 di ogni mese dal parroco del Cuore di Maria di Antofagasta, Pepe Abarza. Il primo si trova all’indirizzo:

Mariano Avellana è un prezioso patrimonio spirituale della Congregazione e dell’intera famiglia clarettiana. Pertanto, la sua figura sarà sicuramente un degno motivo per riflettere durante tutto l’anno e in diversi luoghi sulla forma “eroica” che la Chiesa ha riconosciuto alla sua testimonianza di autenticità religiosa e missionaria secondo il carisma clarettiano.

Alfredo Barahona Zuleta, Vicepostulatore, Causa del Venerabile P. Mariano Avellana, cmf