200° ANNIVERSARIO DELLA NASCITA  DEL VENERABILE P. JAIME CLOTET Y FABRÉS, CMF

200° ANNIVERSARIO DELLA NASCITA DEL VENERABILE P. JAIME CLOTET Y FABRÉS, CMF

Cofondatore della Congregazione dei Missionari Figli del Cuore Immacolato di Maria

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Jaime Clotet nacque a Manresa (Barcellona) il 24 luglio 1822, ultimo di otto fratelli. I suoi genitori, il sig. Ramón Clotet e la sig.ra Gertrudis Fabres, di posizione sociale benestante e di buoni valori religiosi, impartirono a Jaime un’accurata educazione basata sul santo timore di Dio. Quando aveva solo nove anni, entrò nella Congregazione di San Luis Gonzaga. Chiunque lo abbia conosciuto in età matura ha potuto constatare come conservasse ancora “tutta la freschezza e il candore immacolato di quell’età benedetta”, dice il suo biografo padre Mariano Aguilar.

A quell’età cominciò a sentirsi orientato verso il sacerdozio e i suoi genitori, per i quali Jaime era oggetto di particolare affetto, sia perché era l’ultimo dei loro figli, sia soprattutto per l’estrema bontà di carattere e per altre qualità molto preziose che vedevano in lui, lo iscrissero a studiare grammatica latina nella scuola che i Padri Gesuiti avevano in città. Studiò filosofia all’Università di Barcellona e altri quattro anni di teologia al Seminario di quella città. Nel 1843 si recò al Seminario di Vich per studiare teologia morale e pastorale per due anni. A causa della persecuzione religiosa in Spagna, Jaime si recò a Roma per essere ordinato sacerdote il 20 luglio 1845. Al suo ritorno, nel luglio 1846, fu nominato Vicario dell’Economo di Castellfollit del Boix, una parrocchia situata di fronte a Monserrat. Un anno dopo fu nominato economo di Santa Maria de Civit, un altro piccolo villaggio in montagna.

Il suo ministero parrocchiale durò quattro anni, che Jaime Clotet descrisse come pastoralmente molto buoni. Fu in questo periodo che iniziò la sua attività di catechesi per i sordomuti, un’esperienza singolare che segnerà il suo stile missionario per tutta la vita… Tutto nacque, racconta P. Clotet, spontaneamente quando “verso il 1848, mentre lavoravo come sacerdote economo in un piccolo villaggio della diocesi di Vich”, un uomo anziano venne in sacrestia con il figlio sordomuto, ormai giovane, per confessarsi. Di fronte ai dubbi di Clotet che il giovane potesse capirlo, il contadino gli disse: “e affinché tu ti convinca, gli parlerò in tua presenza e lo farò parlare con me… convincendomi che in realtà il figlio capiva il padre e il padre capiva il figlio”. Alla luce di ciò mi sono detto: se un uomo di campagna e senza lettere è arrivato a comprendere perfettamente l’arte di parlare con i segni, perché non dovresti conoscerla tu prendendo lezioni da qualche uomo competente? Ma dove trovarlo? E mi è rimasto il desiderio”.

La forte inquietudine missionaria che batteva nel cuore di Clotet lo spingeva oltre l’orizzonte della parrocchia. Provvidenzialmente, riuscì a mettersi in contatto con Padre Claret, che stava per fondare la Congregazione, e il 16 luglio 1949 era già con lui come parte del gruppo dei cofondatori; era il più giovane di tutti. Clotet scopre finalmente la sua vocazione missionaria e trova nella nuova Congregazione il luogo migliore per viverla.

Durante i primi anni nella Congregazione clarettiana si dedicò interamente al ministero delle missioni popolari, agli esercizi spirituali e, soprattutto, alla catechesi, un ministero per il quale si sentiva particolarmente qualificato.

Nel 1858, Clotet fu eletto sotto-direttore della Congregazione, carica che mantenne per 30 anni consecutivi. I suoi compiti aumentarono quando fu nominato Superiore locale della Casa Madre di Vich (1864-1868) e fu responsabile della formazione dei primi Fratelli Coadiutori. Queste circostanze lo costrinsero ad abbandonare l’itineranza a favore di un apostolato più stabile.

Chi lo conosceva diceva che la catechesi era la sua occupazione preferita. Anzi, lo considerava il dovere primario di genitori, sacerdoti e insegnanti. Cercò di adattarsi alle capacità dei bambini, con esempi, parabole e paragoni. Per incoraggiare la perseveranza, li esortava a unirsi alle comunità giovanili, a leggere buoni libri e a frequentare le scuole domenicali o serali.

Abbiamo segnalato la sua predilezione per la catechesi per i sordomuti, ma anche il suo desiderio che qualcuno gli impartisse lezioni per comprendere perfettamente l’arte della lingua dei segni. L’occasione si presentò quando, a causa di un problema al ginocchio, dovette trascorrere diverse settimane a Barcellona. Lì, un sacerdote dell’Oratorio di San Filippo “ha avuto la carità di darmi lezioni quotidiane su come parlare ai sordomuti con i segni e su come capirli…”.

Jaime Clotet, con spirito missionario, ha cercato di apprendere le competenze necessarie per insegnare loro ciò che un cristiano non può ignorare.
A questo scopo, nel 1866, scrisse il libro La comunicazione del pensiero per mezzo di segni naturali. Ossia, Regole per capire e farsi capire da un sordomuto, che si sono rivelate molto utili per chi era impegnato in questo ministero apostolico. In seguito scrisse molti altri libri.

Ogni volta che ho visto un sordomuto per la prima volta, ho sentito un sentimento di compassione, ho avuto un impulso quasi irresistibile a occuparmi di fargli conoscere le principali verità della fede, una cosa difficile, certo, ma necessaria e di grande consolazione nella sua disgrazia (Catechismo, 5).

Ma non si accontentava di insegnare loro il catechismo, ma promuoveva l’integrazione sociale dei sordi, come sappiamo dalla testimonianza di fra’ Eustaquio Belloso, che viveva nella stessa comunità: Quando erano malati, li visitava; e procurava loro il bene che poteva quando ne avevano bisogno. Un certo José Serra, residente a Barcellona, la cui sorella sposata, che viveva a Vic, non lo voleva in casa sua a meno che non portasse un letto e dei vestiti e non guadagnasse abbastanza per mantenersi. Il Padre gli fornì un letto e dei vestiti e disse al suo servitore di insegnargli a cucire; in pochi giorni egli seppe fare i pantaloni; poi lo mise in una sartoria di fiducia, la sartoria Yuixa, dove imparò molto.

Nel settembre 1868 avvenne la rivoluzione che espulse dalla Spagna la regina Isabella II e con lei anche il suo confessore, l’Arcivescovo Claret, fondatore della Congregazione dei Missionari, i cui membri furono costretti a trasferirsi nel sud della Francia.

A Vich, sede della comunità missionaria a cui apparteneva padre Clotet, la Junta rivoluzionaria aveva deciso di occupare la Casa della Missione. P. Aguilar, biografo di P. Clotet, descrive i momenti in cui i membri della Junta andarono ad occupare la casa e la reazione nobile, umile e gentile di Clotet: “… alle tre del pomeriggio si presentò la terribile Junta, che P. Clotet, con la sua aria di umiltà e con il perenne sorriso sul viso, attese e raccolse alla porta del convento. Prima che avessero spiegato lo scopo della loro venuta, Padre Clotet, gentile e premuroso, li invitò a riposare e, con molte cortesi richieste, li invitò a recarsi nel refettorio dove il buon Padre aveva preparato per ciascuno un cioccolatino con il suo corrispondente dessert di frutta appetitosa. I signori accettarono il rinfresco, non dico volentieri, perché era impossibile che non arrossissero e non fossero imbarazzati alla vista del modo di reagire di padre Clotet, ma sì, con una dissimulazione malriuscita e come se fossero trascinati dalla gentilezza del buon padre? Quando erano già in strada, tutti lodavano la profonda umiltà di padre Clotet, dicendo a una sola voce: “è un santo, è un santo; la sua umiltà è affascinante e accattivante; solo per lui dovremmo lasciarli in pace”. Tuttavia… il Presidente della Junta ha comunicato a p. Clotet… l’ordine di lasciare l’edificio entro ventiquattro ore”.

Nel 1970 la Santa Sede approvò definitivamente le Costituzioni della Congregazione dei Clarettiani. A Prades, questa gioia si è completata con la presenza del Fondatore, il 23 luglio, arrivato da Roma con la salute abbastanza compromessa, anche se presto dovette lasciarli per cercare asilo politico nel monastero di Fontfroide, dove sarebbe morto il 24 ottobre. Per desiderio del Superiore Generale, p. José Xifré, p. Clotet accompagnò il Fondatore negli ultimi quindici giorni di vita, una circostanza che egli considerava una grazia straordinaria. Ogni giorno scriveva a P. Xifré per informarlo di tutte le circostanze della malattia del Fondatore, ed era sempre attento a tutte le sue parole, movimenti e desideri per servirlo e soddisfarlo il più possibile.
Poche persone conoscevano così da vicino il santo missionario Claret, non perché avesse vissuto a lungo al suo fianco, ma per la comunione spirituale che esisteva tra loro dopo la fondazione della Congregazione… e nelle ultime settimane della sua vita, quando P. Clotet si prese cura di lui con immenso affetto filiale.

In seguito, l’amore filiale di Clotet per p. Claret lo portò a darsi da fare per raccogliere tutti i dati e le testimonianze che avrebbero permesso di riconoscere la sua santità e di avviare così il processo di beatificazione. Fu così che, su richiesta del Superiore Generale, iniziò a scrivere il Sommario della vita del Venerabile, in cui i Figli Missionari del Cuore di Maria possono scoprire in dettaglio gli innumerevoli esempi edificanti del loro Fondatore.

L’affetto e l’ammirazione di Clotet per il santo Fondatore lo portarono a imitarlo in tutti i dettagli della sua vita. “Quando alla fine del 1889 si recò a Parigi ed ebbe il suo primo incontro con la Regina Elisabetta II, questa signora, nel vederlo, provò una gioia indescrivibile, perché le sembrava di vedere in lui il ritratto vivente del suo vecchio e amato confessore, il Venerabile P. Claret.

La grandezza del suo affetto e della sua ammirazione per Claret si può dedurre dalle espressioni che usava quando era già sul letto di morte. A chi lo visitava e gli chiedeva delle sue condizioni, rispondeva molto bene, benissimo. E lo ha fatto in italiano “perché così faceva il Fondatore nella sua ultima malattia”.

Padre Jaime Clotet era principalmente un uomo di governo agli ordini del Superiore Generale, padre José Xifré. La Divina Provvidenza aveva fatto camminare insieme Xifré e Clotet, personaggi completamente opposti, per contrastare la virtù dei suoi servi nel crogiolo delle contraddizioni e delle umiliazioni e per mantenere il necessario equilibrio nelle loro opere.

Aguilar descrive con grande maestria l’avventura di vita di queste due provvidenziali persone nella prima storia della Congregazione clarettiana: “Accanto a p. Xifré, personaggio energico, che non temeva i pericoli, audace nelle grandi imprese, prodigo di sacrifici, indomito nelle avversità e di un coraggio sovrumano, ma dominato da una fede viva e forte, da una fiducia illimitata in Dio, da uno zelo ardente e inestinguibile per la gloria divina… ha posto p. Xifré in una posizione di rilievo. Clotet, un’anima altrettanto retta e giusta come la prima, ma di carattere completamente opposto, perché p. Clotet era per natura gentile e affabile, amante dell’ordine fin nei minimi dettagli, nemico delle avventure pericolose, paziente ricercatore delle disposizioni canoniche… osservatore minuzioso di cose e persone,… fiducioso, sì, in Dio, ma allo stesso tempo molto consapevole dell’obbligo di non tentarlo e di non oltrepassare i limiti ordinari della Provvidenza divina senza una reale necessità” (Aguilar, 246-247).

Le diversità di criteri, nate dalla diversità dei caratteri e delle attitudini, portarono P. Clotet a consultare P. Claret sull’opportunità di dimettersi dal suo incarico. Claret rispose che non doveva temere, perché l’opposizione di carattere che vedeva nel Superiore Generale sarebbe stata un grande bene per il suo spirito, rendendolo molto degno davanti a Dio, e allo stesso tempo avrebbe contribuito al bene maggiore dell’Istituto. P. Clotet e P. Xifré sono stati l’uno per l’altro come un diamante finissimo che hanno levigato e lucidato reciprocamente affinché la loro santità brillasse di più davanti a Dio e agli uomini.

Nel giugno del 1888, dopo trent’anni di mandato, Jaime Clotet cessò di essere Sotto-Direttore generale della Congregazione e fu nominato Segretario per altri tre anni. Finché le forze e le numerose occupazioni glielo permisero, p. Clotet promosse vari corsi di esercizi spirituali, predicò le novene e la Quaresima a tutti i tipi di persone, offrì frequenti conferenze e omelie alla comunità in cui viveva, promosse la formazione catechistica degli studenti della Congregazione, e persino prese iniziative a favore del Catechismo Universale Unico.

Nel giugno 1892 gli viene proibito di predicare per motivi di salute, come racconta lui stesso: “Il Padre Generale mi ha detto di non predicare ai sacerdoti, né agli ordinandi, né alle Conferenze di San Vincenzo de’ Paoli, perché mi manca la voce; e che dovrei occuparmi solo di spiritualità per quelli di casa, predicando raramente per quelli di fuori.

Il 4 febbraio 1898, all’età di settantacinque anni, il Servo di Dio Padre Jaime Clotet y Fabrés morì nella comunità di Gràcia. Quando padre Xifré seppe della morte di colui che per tanti anni era stato suo compagno e collaboratore nella direzione dell’Istituto, non riuscì a trattenere le lacrime e rese questo affettuoso omaggio alla memoria del suo santo compagno: “Era un modello di pietà, di zelo e di esercizio di tutte le virtù (…). Oltre a tutte le sue opere apostoliche, estese il suo zelo agli ospedali e alle carceri e soprattutto ai sordomuti, a beneficio dei quali pubblicò una piccola opera di grande utilità per coloro che si impegnano in tale opera pia (…). Privo della vista, si ritirò nella nostra casa di Grazia, dove terminò la sua vita pieno di meriti”.

Il 3 maggio 1989, Papa Giovanni Paolo II lo ha dichiarato Venerabile. Il decreto che proclama l’eroicità delle sue virtù offre queste affermazioni emblematiche sulla vita del Venerabile P. Jaime Clotet: “Tra i suoi confratelli della Congregazione è sempre stato considerato come un perfetto esempio dell’ideale del Missionario definito da Sant’Antonio Maria Claret… La sua missione nell’Istituto può essere riassunta come segue: solido difensore della vita interiore in un Istituto profondamente apostolico. La presenza di Dio era uno stimolo costante all’esercizio di tutte le virtù… un modello di giustizia, di pace interiore ed esteriore, di moderazione, di delicatezza di coscienza, di fiducia illimitata nella grazia divina”.

Preghiera

Dio nostro Padre, Tu vuoi che tutti possano conoscere Tuo Figlio Gesù. Ti chiediamo di concedere a padre Jaume Clotet di essere glorificato dalla Chiesa, affinché con il suo esempio ci siano cristiani disposti a insegnare il Vangelo, la via della Fede e dell’Amore, a tutti i sordi.
Se è possibile, concedimi la grazia che ti chiedo, con l’aiuto della nostra Santa Madre Maria del Silenzio. Amen. (si può pregare l’Ave Maria)

Non dimentichiamo oggi il venerabile Padre Mariano Avellana

Non dimentichiamo oggi il venerabile Padre Mariano Avellana

Ancora una volta, il quattordicesimo ci chiama al ricordo mensile del nostro futuro santo, il venerabile padre Mariano Avellana.

Le sue virtù eroiche, con cui ha saputo dedicarsi all’opera di evangelizzazione a cui il Signore lo aveva chiamato, essendo un “missionario fino alla fine” nonostante le grandi sofferenze fisiche e le tendenze negative che ha dovuto superare, sono degne di essere ricordate per sempre, soprattutto in questi giorni. Questo esempio è la motivazione più grande per cui da 35 anni preghiamo il Signore affinché si degni di glorificarlo sulla terra compiendo il miracolo che gli consenta di essere elevato agli altari. Affinché la luce mirabile della sua testimonianza di vita non rimanga nascosta, ma che, secondo il Vangelo, illumini dall’alto la nostra vita e quella del popolo cristiano, incoraggiandoci a lasciare le nostre comodità e la nostra mediocrità per donarci ai più bisognosi come ha fatto lui.

Se si tratta di esempio, come non desiderare l’eroismo con cui Mariano Avellana ha fatto della sua vita un martirio quotidiano, lavorando instancabilmente alla predicazione di centinaia di missioni, mentre un herpes gli rodeva il ventre e una piaga crescente gli saliva su per la gamba, per risplendere soprattutto dall’altare. Non è esagerato paragonare queste sofferenze, sopportate per decenni, al martirio in cui 184 dei suoi fratelli sono morti affrontando le pallottole piuttosto che rinunciare alla loro fede in mezzo a violenti conflitti religiosi.

Oggi che nel mondo continuano numerose guerre, sconvolgimenti sociali e crolli di sistemi economici che causano migliaia di morti, dolore, fame e sofferenza, soprattutto a danno dei settori più poveri e indifesi, vale la pena non solo invocare l’intercessione di Mariano Avellana per i malati gravi, i sofferenti e gli abbandonati che tali situazioni provocano, ma prendere esempio dalla sua instancabile opera per assisterli e mitigare le loro sofferenze a somiglianza di Gesù Cristo.

Che la memoria permanente dell’esempio di Padre Mariano, e specialmente in questo 14° giorno, ci incoraggi ad essere come lui “missionari fino alla fine”, secondo il nostro rispettivo posto nella vita sociale e l’impegno a cui questo ci obbliga secondo la fede e il Vangelo che professiamo.

 

Alfredo Barahona Zuleta

Vice-postulatore, Causae V.P. Mariano Avellana

SIAMO TUTTI CHIAMATI ALLA SANTITÀ PER LA VIA DELLE BEATITUDINI (GE 63): 2. «Beati i miti, perché avranno in eredità la terra».

SIAMO TUTTI CHIAMATI ALLA SANTITÀ PER LA VIA DELLE BEATITUDINI (GE 63): 2. «Beati i miti, perché avranno in eredità la terra».

“Ci possono essere molte teorie su cosa sia la santità, abbondanti spiegazioni e distinzioni. Tale riflessione potrebbe essere utile, ma nulla è più illuminante che ritornare alle parole di Gesù e raccogliere il suo modo di trasmettere la verità. Gesù ha spiegato con tutta semplicità che cos’è essere santi, e lo ha fatto quando ci ha lasciato le Beatitudini (cfr Mt 5,3-12; Lc 6,20-23). Esse sono come la carta d’identità del cristiano. Così, se qualcuno di noi si pone la domanda: “Come si fa per arrivare ad essere un buon cristiano?”, la risposta è semplice: è necessario fare, ognuno a suo modo, quello che dice Gesù nel discorso delle Beatitudini” (Gaudete et Exsultate, n.63)

2. «Beati i miti, perché avranno in eredità la terra».

È un’espressione forte, in questo mondo che fin dall’inizio è un luogo di inimicizia, dove si litiga ovunque, dove da tutte le parti c’è odio, dove continuamente classifichiamo gli altri per le loro idee, le loro abitudini, e perfino per il loro modo di parlare e di vestire. Insomma, è il regno dell’orgoglio e della vanità, dove ognuno crede di avere il diritto di innalzarsi al di sopra degli altri. Tuttavia, nonostante sembri impossibile, Gesù propone un altro stile: la mitezza. È quello che Lui praticava con i suoi discepoli e che contempliamo nel suo ingresso in Gerusalemme: «Ecco, a te viene il tuo re, mite, seduto su un’asina e su un puledro» (Mt 21,5; cfr Zc 9,9).

Egli disse: «Imparate da me che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita» (Mt 11,29). Se viviamo agitati, arroganti di fronte agli altri, finiamo stanchi e spossati. Ma quando vediamo i loro limiti e i loro difetti con tenerezza e mitezza, senza sentirci superiori, possiamo dar loro una mano ed evitiamo di sprecare energie in lamenti inutili. Per santa Teresa di Lisieux «la carità perfetta consiste nel sopportare i difetti altrui, non stupirsi assolutamente delle loro debolezze».

Paolo menziona la mitezza come un frutto dello Spirito Santo (cfr Gal 5,23). Propone che, se qualche volta ci preoccupano le cattive azioni del fratello, ci avviciniamo per correggerle, ma «con spirito di dolcezza» (Gal 6,1), e ricorda: «e tu vigila su te stesso, per non essere tentato anche tu» (ibid.). Anche quando si difende la propria fede e le proprie convinzioni, bisogna farlo con mitezza (cfr 1 Pt 3,16), e persino gli avversari devono essere trattati con mitezza (cfr 2 Tm 2,25). Nella Chiesa tante volte abbiamo sbagliato per non aver accolto questo appello della Parola divina.

La mitezza è un’altra espressione della povertà interiore, di chi ripone la propria fiducia solamente in Dio. Di fatto nella Bibbia si usa spesso la medesima parola anawim per riferirsi ai poveri e ai miti. Qualcuno potrebbe obiettare: “Se sono troppo mite, penseranno che sono uno sciocco, che sono stupido o debole”. Forse sarà così, ma lasciamo che gli altri lo pensino. E’ meglio essere sempre miti, e si realizzeranno le nostre più grandi aspirazioni: i miti «avranno in eredità la terra», ovvero, vedranno compiute nella loro vita le promesse di Dio. Perché i miti, al di là di ciò che dicono le circostanze, sperano nel Signore e quelli che sperano nel Signore possederanno la terra e godranno di grande pace (cfr Sal 37,9.11). Nello stesso tempo, il Signore confida in loro: «Su chi volgerò lo sguardo? Sull’umile e su chi ha lo spirito contrito e su chi trema alla mia parola» (Is 66,2).

Reagire con umile mitezza, questo è santità. Cf. EG, 71-74

SIAMO TUTTI CHIAMATI ALLA SANTITÀ PER LA VIA DELLE BEATITUDINI (GE 63): «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli»

SIAMO TUTTI CHIAMATI ALLA SANTITÀ PER LA VIA DELLE BEATITUDINI (GE 63): «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli»

“Ci possono essere molte teorie su cosa sia la santità, abbondanti spiegazioni e distinzioni. Tale riflessione potrebbe essere utile, ma nulla è più illuminante che ritornare alle parole di Gesù e raccogliere il suo modo di trasmettere la verità. Gesù ha spiegato con tutta semplicità che cos’è essere santi, e lo ha fatto quando ci ha lasciato le Beatitudini (cfr Mt 5,3-12; Lc 6,20-23). Esse sono come la carta d’identità del cristiano. Così, se qualcuno di noi si pone la domanda: “Come si fa per arrivare ad essere un buon cristiano?”, la risposta è semplice: è necessario fare, ognuno a suo modo, quello che dice Gesù nel discorso delle Beatitudini” (Gaudete et Exsultate, n.63)

1. «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli».

Il Vangelo ci invita a riconoscere la verità del nostro cuore, per vedere dove riponiamo la sicurezza della nostra vita. Normalmente il ricco si sente sicuro con le sue ricchezze, e pensa che quando esse sono in pericolo, tutto il senso della sua vita sulla terra si sgretola. Gesù stesso ce l’ha detto nella parabola del ricco stolto, parlando di quell’uomo sicuro di sé che, come uno sciocco, non pensava che poteva morire quello stesso giorno (cfr Lc 12,16-21).

Le ricchezze non ti assicurano nulla. Anzi, quando il cuore si sente ricco, è talmente soddisfatto di sé stesso che non ha spazio per la Parola di Dio, per amare i fratelli, né per godere delle cose più importanti della vita. Così si priva dei beni più grandi. Per questo Gesù chiama beati i poveri in spirito, che hanno il cuore povero, in cui può entrare il Signore con la sua costante novità.

Questa povertà di spirito è molto legata con quella “santa indifferenza” che proponeva sant’Ignazio di Loyola, nella quale raggiungiamo una bella libertà interiore: «Per questa ragione è necessario renderci indifferenti verso tutte le cose create (in tutto quello che è permesso alla libertà del nostro libero arbitrio e non le è proibito), in modo da non desiderare da parte nostra più la salute che la malattia, più la ricchezza che la povertà, più l’onore che il disonore, più la vita lunga piuttosto che quella breve, e così in tutto il resto».

Luca non parla di una povertà “di spirito” ma di essere «poveri» e basta (cfr Lc 6,20), e così ci invita anche a un’esistenza austera e spoglia. In questo modo, ci chiama a condividere la vita dei più bisognosi, la vita che hanno condotto gli Apostoli e in definitiva a conformarci a Gesù, che «da ricco che era, si è fatto povero» (2 Cor 8,9).

Essere poveri nel cuore, questo è santità.

Cf. EG, 67-70

Pasqua 2022

Pasqua 2022

Cristo è risorto,
e con Lui è risorta la nostra speranza

(Papa Giovanni Paolo II)

 

Cristo è risorto! E noi abbiamo la possibilità di aprirci e ricevere il suo dono di speranza. Apriamoci alla speranza e mettiamoci in cammino; la memoria delle sue opere e delle sue parole sia luce sfolgorante, che orienta i nostri passi nella fiducia, verso quella Pasqua che non avrà fine.

Che la gioia della risurrezione ci liberi dalla solitudine, dalla debolezza e dalla paura verso la forza, la pace e la felicità.

 

P. Krzysztof Gierat CMF

Postulazione Generale dei Missionari Clarettiani

 

In cammino verso l’apertura del processo della causa di martirio di P. Rhoel Gallardo, Missionario Clarettiano delle Filippine

In cammino verso l’apertura del processo della causa di martirio di P. Rhoel Gallardo, Missionario Clarettiano delle Filippine

I Missionari Clarettiani della Provincia delle Filippine, mentre celebrano il loro 75° anno di presenza clarettiana nelle Filippine, hanno iniziato a preparare la documentazione per l’apertura del processo di beatificazione a causa del martirio di Padre Rhoel Gallardo. Era un sacerdote clarettiano rapito dal gruppo estremista musulmano Abu Sayyaf e assassinato il 3 maggio 2000 sull’isola di Basilan.

Il 3 maggio 2021, Mons. Leo Dalmao, CMF, Prelato della Prelatura Territoriale di Isabela, ha celebrato l’Eucaristia per il ventunesimo anniversario della morte di Padre Rhoel e l’inizio di questi preparativi. La celebrazione ha avuto luogo nella chiesa parrocchiale di San Vicente Ferrer a Tumahubong, il villaggio dove il sacerdote ha svolto il suo ministero, pregando per la pace.

Per i clarettiani, Tumahubong equivale a Gallardo e a molti altri che hanno versato il loro sangue per la loro fede e i loro principi. È la terra promessa, il banco di prova dei cuori ardui per la missione, l’amore di coloro che vedono Gesù in mezzo a conflitti religiosi e politici.

Il 3 maggio 2000, P. Gallardo morì in un fuoco incrociato tra il gruppo Abu Sayyaf che lo teneva in ostaggio e le forze di sicurezza che cercavano di salvare i rapiti. Il sacerdote, il preside della scuola, quattro insegnanti e gli studenti della Claret School di Tumahubong erano tenuti in cattività dal 20 marzo. È stato trovato con tre ferite d’arma da fuoco a distanza ravvicinata alla testa, alla spalla e alla schiena, e le unghie del dito indice e delle dita dei piedi erano state strappate. I banditi hanno anche ucciso tre insegnanti e cinque bambini.

Basilan è una nota roccaforte di Abu Sayyaf, nota per i rapimenti a scopo di riscatto e altre atrocità. Il mese e mezzo di crisi degli ostaggi sono stati anche giorni di eroismo per il misionario 34enne.

I testimoni hanno detto che lui cercava sempre le insegnanti quando erano separate dagli altri prigionieri. La sua preoccupazione irritava i banditi, che lo prendevano a pugni e calci fino a provocargli gravi contusioni. Quelli che sono sopravvissuti hanno anche ricordato come Gallardo ha chiesto loro di non perdere la speranza e di pregare il rosario. Lo facevano con discrezione perché i loro rapitori proibivano loro di pregare, costringendoli persino a denunciare il cristianesimo.

Padre Rhoel Gallardo è nato a Olongapo City, a nord di Manila, il 29 novembre 1965. Gallardo ha avuto un primo assaggio della vita missionaria durante il suo noviziato nella città di Zamboanga City, Bunguiao. Ha fatto la sua prima professione religiosa nel 1989 a Isabela e ha completato il suo anno pastorale nella città di Maluso, sempre a Basilan. Nella sua domanda per la professione perpetua, ha scritto: “La mia immersione pastorale a Basilan l’anno scorso mi ha fatto sperimentare concretamente la nostra vita di testimonianza ed evangelizzazione e la missione ai poveri (così come) la presenza della nostra Comunità nel dialogo della vita e della fede con i nostri fratelli musulmani”. “Queste esperienze, nel loro insieme, sono diventate per me una vera sfida ad essere un missionario impegnato e un testimone attivo dell’amore liberatore di Dio per l’umanità… consapevole che la nostra vita e la nostra missione richiedono una donazione totale di noi stessi per la maggior gloria di Dio e la salvezza dell’umanità”, ha aggiunto.

Gallardo ha fatto la sua professione perpetua nel 1993 ed è stato ordinato sacerdote nella parrocchia Cuore Immacolato di Maria a Quezon City nel 1994. Alcuni anni dopo la sua ordinazione, si era offerto volontario per andare a Tumahubong, un villaggio nella città di Sumisip, nella provincia di Basilan, dove ha servito come direttore della Scuola Claret e parroco della parrocchia di San Vicente Ferrer.

Padre Gallardo è stato il primo sacerdote rapito a Basilan ad essere. Altri sacerdoti e suore erano stati sequestrati, anche picchiati, ma alla fine, tutti sono stati liberati. La gente già lo considera un martire, un eroe. Gli altri ostaggi hanno detto che non voleva rinunciare alla croce e al rosario, come volevano gli islamisti. Per questo lo hanno torturato strappandogli le unghie. Ha sofferto molto; eppure, come direttore della scuola anche in cattività, si preoccupava prima di tutto degli insegnanti e dei bambini che gli erano stati affidati. Ha offerto la sua vita per le persone che lo circondavano.