30 Novembre

Nov 30, 2018 | Claret con te

«Sapevo chiaramente che era volontà di Dio che non avessi denaro, né accettasi niente, tranne il cibo necessario per quel momento, senza altre provviste da portare con me. Vedevo che questo distacco suscitava in tutti grande impressione, per cui mi impegnai a restare fedele alla scelta che avevo fatta»
Aut 361-362

FORZA PERSUASIVA DELLA POVERTÀ

La sequela di Gesù, imitando il suo comportamento, fu per Claret quasi un’ossessione per tutta la sua vita. Ma non in tutte le epoche ebbe le stesse espressioni e la stessa forma. Quando era vescovo diocesano a Cuba o presidente di El Escorial cercherà di dar vita a una serie di istituzioni e attendere a opere sociali e culturali che gli chiedevano di fare calcoli e bilanci… maneggiando molto denaro.
Durante il periodo come missionario itinerante per la Catalogna e Canarie non esistevano queste complicazioni. La sua unica preoccupazione era avere tutto il tempo disponibile per predicare, e -rubando tempo al sonno- scrivere opuscoli e volantini che prolungassero la sua predicazione. Liberato da ogni altro legame, aveva soltanto bisogno del necessario: il pranzo e il vestito. E neppure questo lo preoccupava, perché viveva la consegna evangelica di «Non preoccupatevi dunque dicendo: che cosa mangeremo, che cosa berremo, che cosa indosseremo» (Mt 6,31). Nelle Costituzioni per i suoi Missionari riproduce la sentenza evangelica «non procuratevi né oro né argento né denaro nelle vostre cinture» (Mt 10,9).
E in tutto questo, Claret non soltanto sperimentava la gioia di imitare Gesù, ma anche visse una grande efficacia apostolica, che era un’altra delle sue ossessioni. All’inizio di ogni missione popolare avvertiva l’uditorio quali erano le sue motivazioni e quali no; escludeva espressamente ogni ricerca di prestigio, piacere o denaro. Questo dava alla sua parola un grande potere di persuasione. Nulla lo ha potuto confondere con un ciarlatano girovago. Secoli prima Socrate, quell’insuperabile genio dell’etica, aveva detto: «Per dimostrare che sto dicendo la verità presento il migliore e il più credibile dei testimoni: la mia povertà e quella dei miei» (Platone, Apologia di Socrate).

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